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Il Gabbiano

“Perché Gabbiano?”, si chiede per primo Carmelo Rifici. “Intanto è un classico e questo mi permette di lavorare sulla memoria di un testo che ho sempre amato. In secondo luogo Il gabbiano parla di cose che tutti sanno: di rapporti familiari, di conflitti e di delusioni, senza averne consapevolezza. ‘Čechov è talmente semplice che fa paura’, diceva Gor’kij. Nel Gabbiano tutti si rappresentano, anzi sono tutti ossessionati dalla rappresentazione. Si impegnano a vivere una vita che non è la loro e tentano di eternarla, di renderla un presente continuo. Non sarà perché tentano disperatamente di fermare la vita e di bloccare dentro di loro il sinistro desiderio di voler uscire, di volare via per fare parte di qualcosa di più grande? Teatro e mistero, verità e sogno. Non a caso i protagonisti sono attori, scrittori, registi, e l’umanità che gira intorno a loro, fatta di contadini, di lavoratori, non sogna altro che d’essere attori e scrittori. Ossessione della rappresentazione di sé. I personaggi recitano su un palcoscenico che si specchia in un lago che mostra a sua volta la loro misera umanità e l’incapacità di volare alto. Il lago li attrae verso il basso. Il lago: il latino lacus significa cavità, spaccatura, incavo riempito d’acqua, che lega anche con lakkos, cavità, pozzo. Se la parola fosse presa nel suo significato simbolico, potremmo dire che chi vive vicino ad un lago vive su una spaccatura, su un baratro. Il lago, quindi, condiziona le vite di chi lo abita. L’incavo è però riempito d’acqua dolce, piatta, che fa da specchio. Per questo, spesso, il lago diventa anche sinonimo di occhio: l’occhio (profondo) dentro il quale ci si specchia. Il teatro è il grande specchio del mondo. Non potrebbe essere che il lago e il teatro in Čechov siano la stessa cosa? Non potrebbe essere che è la rappresentazione a spingere l’uomo verso il baratro e a impedirgli di spiccare il volo verso l’alto?”.


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